14 Apr SANGALLI: “PEZZI DEL TERZIARIO ANCORA KO, IN DIECI ANNI PERSE 120MILA PMI”
Il presidente di Confcommercio sul Sole 24 Ore: “un po’ ottimistiche le stime del Def, per commercio al dettaglio, alberghi, bar e ristoranti bolletta energetica da 30 miliardi”.
Malgrado la pandemia, il terziario di mercato è cresciuto, ma una parte consistente delle imprese è in affanno, a causa dell’aumento dei costi dell’energia e della riduzione dei consumi. A lanciare l’allarme è il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, che rileva «un certo ottimismo» nella previsione di crescita del 3,1% contenuta nel Def, e chiede al Governo di «agire per la crescita», attraverso «riforme ed investimenti, con una “flessibilizzazione” del Pnrr» in ragione del mutato scenario economico e con misure di sostegno ai consumi.
Presidente Sangalli, iniziamo dallo stato di salute del settore. Che impatto ha avuto la pandemia sulle imprese del terziario di mercato?
Tra il 2010 ed 2021, le imprese attive in Italia si sono ridotte di quasi 120mila unità. Nello stesso periodo, però, il sistema dei servizi di mercato – cioè il commercio, il turismo, i trasporti e la logistica, i servizi alle persone ed alle imprese – è cresciuto di quasi 130mila unità. La fotografia è in chiaroscuro, con la presenza di più servizi di alloggio e di ristorazione, ma una dinamica negativa del commercio al dettaglio. Del resto, i consumi in termini reali sono, oggi, sotto i livelli del 1999. In termini pro-capite, sono sotto i valori del 1998: 17.297 euro del 2021 a fronte dei 17.708 euro di venticinque anni fa.
Come valuta le previsioni del Def?
Le indicazioni del Def appaiono sostanzialmente condivisibili. Ma emerge un certo “ottimismo” sulle previsioni di crescita per l’anno in corso. Anche perché, a nostro avviso, è probabilmente sottostimato l’andamento dell’inflazione dei prezzi al consumo, originariamente sospinta dai prezzi energetici. Più inflazione significa minore potere d’acquisto delle famiglie e riduzione del valore reale dei risparmi “forzosi” accumulati durante il lungo lockdown. Per il 2022, ci aspettiamo un incremento dei consumi di circa il 2% in termini reali ed una crescita del Pil più prossima al 2% che al 3%.
Quali sono gli effetti del caro-energia sul settore?
Anche a prescindere da più gravi rischi di interruzioni delle forniture energetiche dalla Russia, l’equilibrio economico-finanziario di moltissime imprese appare compromesso, già ai prezzi energetici attuali, anche nel comparto dei servizi. Per i settori del commercio al dettaglio, degli alberghi, dei bar e dei ristoranti, la bolletta energetica di gas ed elettricità costerebbe il triplo nella media del 2022, passando da circa 10 a circa 30 miliardi di euro. L’autotrasporto di merci vedrebbe un incremento dei costi dei carburanti del 40%.
Quali misure chiedete di porre in cima all’agenda di governo?
I 5 miliardi di aiuti previsti dal Governo nel Def sono evidentemente insufficienti. Occorre agire per la crescita attraverso riforme ed investimenti e con la più opportuna “flessibilizzazione” del Pnrr, in ragione di scenari geopolitici ed economici che impattano sui suoi cantieri progettuali ed operativi. Vanno sostenuti i consumi con scelte mirate di riduzione del prelievo Iva. Vanno supportate le esigenze finanziarie delle imprese con garanzie per l’accesso al credito, moratorie e ristrutturazioni di più lungo termine dei prestiti bancari.
E in tema di energia, cosa vi attendete dal Governo?
Torna centrale, nel progetto europeo, la questione di una politica energetica comune, oltre che il tema del fondo di resilienza dedicato a fronteggiare gli impatti del caro energia e delle sanzioni nei confronti della Russia. Quanto al nostro Paese, serve anzitutto una politica energetica bonificata dai troppi “no” preconcetti e da un’ipertrofia burocratica che rischia di bloccare decisioni e realizzazioni. Ed una riforma organica degli oneri generali di sistema e della fiscalità energetica. Potenziamo strumenti di “pronto intervento” come i crediti d’imposta ora opportunamente fruibili anche da parte di soggetti che non rientrano nel novero dei tradizionali “energivori” o “gasivori”. Rendiamo più incisivi e strutturali gli interventi in materia di accise.
Si torna a parlare di politica dei redditi, come valuta la richiesta del sindacati di rivedere l’Ipca?
Sui rinnovi contrattuali, è evidente che le imprese del terziario di mercato si trovano a fare i conti con il dato di consumi che restano di oltre sei punti inferiori rispetto ai livelli pre-pandemici. Queste imprese subiscono ora anche l’impatto di un’inflazione che taglia il potere d’acquisto dei consumatori e appesantisce gravemente i costi operativi. Dunque, sarebbe errato archiviare frettolosamente l’Ipca al netto dei prezzi dei beni energetici importati come parametro di riferimento per i rinnovi contrattuali. Piuttosto, per agevolare le intese contrattuali, si dovrebbe intervenire con scelte di detassazione degli aumenti contrattuali ed anche riducendo il cuneo fiscale e contributivo sul costo del lavoro. Anche perché la riforma degli ammortizzatori significa per le nostre imprese maggiore cuneo contributivo.
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